a cura di Vanna Pina Delogu
L'attività delle confraternite di Sorso ai primi del '900
Agli inizi del Duemila ho intervistato diverse persone di Sorso che avevano ricoperto cariche o svolto dei compiti di supporto alle confraternite locali, al fine di raccogliere testimonianze che potessero mettere in luce la ripresa delle attività nell’immediato dopoguerra. Sono emerse le prove di un’azione congiunta dei due sodalizi (Santa Croce ed Itria) e di una fattiva collaborazione in tutte le attività poste da sempre al servizio della comunità.
Mi è sembrato un elemento di novità, ma soprattutto un segno di grande maturità religiosa e civile al tempo stesso in quanto, guardando alla storia passata delle due confraternite, il fatto stava a significare il superamento di antiche rivalità e incomprensioni. I momenti più difficili della guerra erano appena trascorsi ed era stata sentita senza dubbio l’esigenza di incrementare le fila delle due confraternite che l’ultimo conflitto aveva assottigliato, unendo, per così dire, le forze rimaste in modo da riprendere un cammino che si sarebbe purtroppo interrotto all’inizio degli anni ’60 del Novecento.
Secondo tali testimonianze, la confraternita d’Itria collaborava con quella di Santa Croce per la preparazione dei riti della Settimana Santa ed ogni priore si avvaleva principalmente della collaborazione della propria famiglia. La priora d’Itria provvedeva, infatti, ad invitare i personaggi che per tradizione dovevano prendere parte ai vari riti:
Le Pie Donne, in origine, erano quattro: due vestite di giallo e due vestite di viola. Anticamente quelle vestite di giallo avevano una fascia viola che attraversava diagonalmente la tunica e, viceversa, una fascia gialla le altre.
Le due Marie erano, e sono tuttora, vestite di nero come la Madonna Addolorata.
La Maddalena è vestita di azzurro con fascia gialla.
La Veronica porta una veste bianca sotto un manto celeste e tiene nelle mani un drappo con il Volto Santo di Cristo.
San Giovanni è solitamente impersonato da un bambino con parrucca, abito verde e con un calice colmo di amaretti fra le mani. Il nob. H. don Ambrogio Cicu aveva donato l’antico costume di San Giovanni con parrucca e calice alla signora Paola Marogna di Sorso.
Piccoli angeli in candide vesti.
Questi personaggi avevano il compito principale del compianto funebre del Cristo nel Venerdì santo, oltre a quello di partecipare alle processioni e agli altri riti della settimana santa.
Le processioni, molto suggestive, si caratterizzavano per il grande realismo dovuto alla partecipazione, così come avviene ancora oggi, delle varie figure che le animavano.
Dalle interviste è risultato che la processione mattutina del Venerdì santo si svolgeva diversamente da quella attuale poiché anche la statua di Sant’Anna, considerata la nonna di Gesù, in quanto madre di Maria, veniva portata in processione nei sepolcri delle chiese del paese, insieme a quella della Madonna Addolorata, alla ricerca del Cristo morto. La processione era per questo ancora più coinvolgente perché il popolo poteva vedere la giàia (la nonna) di Gesù seguire Maria nel suo percorso di dolore.
Dopo l’Ischrabamentu, all’imbrunire, usciva la processione con il Cristo morto, seguìto dal simulacro dell’Addolorata. Dietro Gesù e la Madonna, in passato, sfilavano mesti i cantori che intonavano il Miserère (il canto del rimorso e del pentimento, del perdono e della redenzione) e lo Stabat Mater, che suscita sentimenti di pietà e di partecipazione al dolore, esercitando un coinvolgimento collettivo di intensa commozione.
Nella Settimana Santa si ripetono dunque i riti tramandati dagli antichi e pertanto si può constatare che la tradizione resiste a certe influenze che tendono ad una semplificazione delle celebrazioni. Le processioni della Settimana Santa affondano le loro radici nell’alto Medioevo, in cui sono stati innestati successivamente elementi della religiosità iberica. Per quanto riguarda le rappresentazioni sacre, non si esclude invece che esse siano state introdotte dagli Ordini religiosi, e specialmente dalle prime comunità francescane approdate nell’isola, con molta probabilità nel corso del XIII secolo.
L’importanza del canto nella vita delle confraternite
Per sottolineare l’importanza della musica, nonché il ruolo fondamentale ricoperto dai cantori delle confraternite, è risultato molto utile, ai fini di questa ricerca, lo studio condotto dall’ormai scomparso etnomusicologo, prof. Pietro Sassu, negli anni Sessanta del Novecento, sui canti della confraternita di Santa Croce.
Il suo interesse verso i canti della confraternita era stato mosso, già da allora, dall’intento di recuperare una musica “che è canto e preghiera allo stesso tempo”, la cui conservazione e valorizzazione permette di recuperare nel contempo un aspetto importante della nostra cultura. Era consapevole che il canto di tradizione fosse ormai scomparso dalla nostra comunità, ma volle appellarsi alla capacità dei giovani di recuperare e di interpretare tale cultura musicale considerandola come una risorsa su cui fare riferimento.
La sua attenzione si era concentrata pertanto sulla confraternita aggregatasi presumibilmente tra il XIV e XV secolo attorno alla chiesa di Santa Croce, il cui restauro è stato completato alla fine degli anni Novanta del secolo appena passato. Allegava al suo opuscolo un interessante CD-rom contenente dei canti, e quindi la registrazione delle voci degli ultimi confratelli dei quali si conoscono i nomi e i discendenti.
L’opera presentata era quindi il frutto di un lungo lavoro di ricerca affrontata dal prof. Sassu agli inizi degli anni Sessanta del Novecento. Stando al suo resoconto, aveva avuto l’occasione in quell’epoca, di incontrare e intervistare persone appartenenti a diverse fasce d’età e questo gli aveva permesso di accertare l’esistenza di repertori musicali di carattere popolare. Sottolineava di aver ottenuto senza difficoltà alcuni contatti con alcuni cantori delle confraternite di Sorso e di aver combinato così vari incontri per registrare i repertori religiosi e profani ancora in uso.
Il CD-rom presenta un repertorio caratterizzato da tre registri linguistici: il latino, il sardo logudorese e il dialetto di Sorso. Fra gli aspetti musicali più interessanti il prof. Sassu pone la presenza di forme di polivocalità religiosa e questi canti erano considerati come parte integrante delle pratiche devozionali. I due brani su testo latino (Miserere e Stabat Mater) erano cantati a quattro voci maschili solistiche (vale a dire un solo cantore per ciascuna voce) secondo forme musicali, stili e modalità cerimoniali ampiamente diffuse in tutta l’isola.
Ne dedusse che la diffusione e l’adozione degli stessi repertori musicali e registri linguistici era forse da attribuire ai frequenti incontri ed alla collaborazione fra gruppi confraternali appartenenti a comuni diversi, primo fra tutti Castelsardo, durante i quali venivano provati ed eseguiti i vari brani.
Con la pubblicazione dell’opuscolo il prof. Sassu ha inteso dunque riproporre ai Sorsensi un aspetto dimenticato della loro identità culturale, manifestando la speranza di suscitare la curiosità dei giovani verso tale tradizione musicale.
Studi di questo tipo ci aiutano infatti a capire che la conoscenza del passato serve a farci vivere meglio, e con una maggiore consapevolezza, il presente, permettendoci in tal modo di poter affrontare con maggiore sicurezza anche il futuro.
Fonti
Sassu Pietro, "Canti a Sorso. Una tradizione dimenticata", Sorso settembre 2000. I risultati della ricerca condotta dal prof. Sassu negli anni Sessanta del Novecento, sono stati pubblicati nel Duemila. La presentazione dell’opuscolo nella storica sede del Palazzo Baronale di Sorso, e l’ascolto del Cd-rom allegato, hanno suscitato grande emozione fra i presenti e soprattutto tra i discendenti dei cantori dei quali, a distanza di decenni hanno potuto risentire la voce.
Delogu Vanna Pina, "La chiesa di Santa Croce in Sorso. Architettura e sacri arredi nella chiesa dei Disciplinati Bianchi", edizioni Documenta, Cargeghe, gennaio 2013.