Serra Nieddha
Nel sito nuragico di Serra Niedda nell'agro di Sorso, ed a breve distanza dalla città, sono state trovate tracce di insediamenti umani risalenti all’Età del Bronzo recente e finale, che dimostrano la continuità nell'utilizzo di un sito ritenuto di notevole significato religioso grazie soprattutto alla presenza del pozzo sacro federale nel quale si praticava il culto delle acque.
I ritrovamenti archeologici dimostrano l'importanza che l'intera area rivestì, non solo per gli abitanti del luogo, ma anche per altre genti che, nel corso del tempo e per vari motivi, entrarono in contatto con la Sardegna.
Durante gli scavi del 1985 (anno di scoperta del sito) furono rinvenuti conci calcarei lavorati e tratti di muratura relativi a un tempio isodomo di grandi dimensioni (circa 15 m di lunghezza) di epoca post-nuragica, alla cui estremità era una cisterna cilindrica riutilizzata come forno per la calce in Età Medioevale. Inoltre, un monolite, anch’esso calcareo, forse un’ara, e molto materiale ceramico e metallico. Alcuni di questi reperti costituiscono un unicum in Sardegna. Il tempio a pozzo è largo 13,5 mt e vi si scende attraverso quattordici gradini di cui, gli ultimi tre risultano scavati nella roccia; i lavori di ripulitura hanno riportato alla luce anche il canale attraverso il quale stillava l’acqua.
Fra il ricco materiale votivo, numerose sono le statuette (i cosiddetti “bronzetti” nuragici), sia antropomorfe che zoomorfe, due delle quali di particolare rilevanza: la prima raffigurante un offerente armato di lancia, con elmo e schinieri, un “Re pastore” in atteggiamento di preghiera, che porta un montone (o muflone) al guinzaglio; la seconda raffigura un orante, nudo, privo della staticità tipica di altri bronzetti simili, reso anzi con singolare immediatezza plastica. Altri bronzetti raffigurano guerrieri, un toro, un muflone e un nuraghe quadrilobato. Ritrovati anche spille, bottoni, fibule e molto materiale ceramico. Infine, resti di legno bruciato, gusci di chiocciole e ossa di capre usate per i sacrifici.
Il sito venne frequentato anche in epoca romana, tra il I secolo a.C. e il I d.C.; a quest’epoca risalgono alcune monete romane ed alcuni frammenti di busti e di bruciaprofumi (thymiateria) con testa della dea Demetra-Cerere, indice della presenza di culti legati alla fertilità.
Importante, per la sua eccezionalità in Sardegna, è un frammento di statua marmorea di stile greco tardo-arcaico, raffigurante un giovane (kouros); questo e altri reperti, oltre alla vicinanza del sito al mare, fanno supporre che fosse frequentato da mercanti fenici, greci ed etruschi.
Un altro santuario legato al culto delle acque, si trova nell’impianto del nuraghe La Varròsa, sulla sponda sinistra del rio Sìlis, all’altezza del ponte sulla S.P. 81 (km 2,200), con un pozzo all’interno di una torre secondaria.